TIZIANO FERRO TORNA A RACCONTARSI

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Tiziano Ferro: «Io, alcolista, gay, bulimico, depresso e famoso. Pure famoso mi sembrava un difetto»

«Ho vissuto una vita distrutta dai commenti, uno nasce con un dna da impopolare e se lo tiene. Adesso ho 40 anni e ho la capacità di filtrare queste informazioni e fregarmene. Ma prima non era così. La musica mi ha salvato la vita». In poche parole c’è la sintesi — la sua sintesi — della vita di Tiziano Ferro, artista — caso rarissimo — che ha deciso di far vedere come mai nessuno ha fatto prima il lato privato, intimo, a tratti oscuro, tormentato e inquieto, della sua esistenza da popstar irregolare. Perché se l’immagine pubblica di qualunque artista non è quasi mai aderente al vissuto privato, nel caso di Tiziano Ferro questi opposti sembrano non essere mai stati così lontani.

Tiziano Ferro esplode letteralmente a 21 anni: il primo singolo, Xdono, è subito un successo non solo italiano ma europeo. Un consenso popolare indiscutibile e immediato che anticipa il primo album in studio, Rosso relativo. Chi non se lo aspetta dice che è uno dei tanti bluff delle etichette discografiche per «catturare le ragazzine». E vent’anni dopo si capisce quanto quella previsione fosse totalmente sballata. Però all’epoca Tzn — pochi hanno la fortuna di un nome da codice fiscale che diventa brand — ha tutte le password giuste del teen idol: magro, bello, sorriso da schiaffi, voce da paura. Cresce il successo fuori, ma dentro cresce anche la voglia di uscire da una gabbia in cui con il tempo non si capisce se ci si è chiuso lui o se ce l’hanno imprigionato gli altri. A 30 anni, nel 2010, racconta di essere omosessuale. «L’ho fatto per me, perché vivevo una vita in completa negazione in una società che non accettava chi ero, e io non accettavo me stesso. In Italia non lo aveva mai fatto nessuno».

E adesso, a 40, all’incirca nel mezzo del cammin della sua vita, ha deciso di scolpire tutta la sua storia nel film-documentario Ferro, una produzione originale Amazon disponibile su Prime Video dal 6 novembre (lo stesso giorno esce anche Accetto miracoli: l’esperienza degli altri, il primo album di cover di Tiziano). Ne emerge un ritratto — molto consapevole — in cui smantella pezzo per pezzo l’immagine esteriore, patinata, sempre un po’ photoshoppata, ad uso di copertina che i personaggi pubblici sono costretti spesso a recitare. In Ferro non c’è la popstar acclamata, quella che tutti mettono su un piedistallo, il modello aspirazionale, la meta tensiva, l’emblema del successo che la società di oggi richiede (fama, soldi, consensi, tutto ottenuto senza aiuti perché in musica vale ancora la meritocrazia: uno vale se è un numero uno). Se complice il filtro, la gabbia, il cordone di sicurezza, l’alone di invincibilità che il business della discografia ti costruisce intorno poteva apparire, a uno sguardo superficiale, che in Tiziano Ferro ci fosse una nota stonata, una asprezza di fondo, il Tiziano di Ferro si mostra in tutta la sua fragilità, in curiosa antitesi con quel cognome che rimanda al metallo più duro, forte, inscalfibile.

Appena 18enne Tiziano Ferro attira l’attenzione dei produttori Mara Maionchi e Alberto Salerno, ma ne seguono tre anni di silenzio, oblio, porte in faccia: nessuna casa discografica vuole puntare su di lui. «Il non detto era il mio peso». Pesava 111 chili (111 sarà il titolo del suo secondo album) e ne perde 40: «Mi vestivo da magro, il dolore e la fame non mi permettevano costantemente di godermi 40 chili di meno. Dentro ero come prima. Mi muovevo e pensavo da grasso». Quanti danni fanno i «non detti». Infatti arriva il secondo tormento interiore: «Dopo il rapporto con il cibo e con il corpo, ecco un altro grande problema: si parlava di me come gay e non andava bene. Mi gelo perché il problema non era più mio, solo mio. Ma decido di non mentire, non invento fidanzate». Ma qualche compromesso deve farlo: la casa discografica francese ogni volta che lui vola a Parigi per una promozione gli fa trovare uno stylist che gli porta dei vestiti «con codici più maschili» con cui cambiarsi nei bagni dell’aeroporto.

Bulimico, gay, depresso, famoso. Manca l’ultimo step: «Una sera la band mi convinse a bere. E da lì non mi sono fermato più». Adesso si è seduto sulla poltrona dello psicologo, un’altra volta, davanti a tutti. «La verità mi ha reso libero; l’onestà e la sincerità mi hanno avvicinato ancor di più alle persone». Finalmente felice, basta segreti, nessun non detto. Eppure, 15 milioni di dischi dopo, Tiziano dubita ancora di sé e del suo talento, forse perché chi più si conosce più dubita: «Mi succede ancora adesso quando entro in uno stadio, penso sia la prima e l’ultima volta. Guardo lo stadio e mi dico: goditela perché potrebbe non succedere di nuovo».

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