Bresh è l’Ulisse del rap italiano
Sempre in viaggio, non ha ascoltato le sirene e ha sempre fatto di testa sua.

Chi è oggi Bresh? È la domanda che Andrea Brasi, rapper e cantautore di Bogliasco, un paesino vicino a Genova, si pone guardandosi riflesso nel suo mare. “Sono un testardo che ha sempre pensato che l’unica vera strada passa per l’originalità, per la fedeltà al proprio sentire – dice l’artista – ho fatto tanti errori, ma questa caparbietà me la riconosco. Le scorciatoie per il successo sono solo delle bugie e dico di più: io non voglio ‘esplodere’ da un momento all’altro, non mi interessa il successo fine a se stesso”. “Oro blu”, il secondo album di quello che è l’Ulisse del rap italiano, è un ritorno a casa. Itaca per il grande personaggio della mitologia greca, Genova per l’artista. “Ulisse” è anche il titolo della prima traccia del progetto. “In un periodo in cui il caos regna sovrano, ritornare all’essenziale per me è stato l’unico modo per resistere – continua Bresh – ho chiamato il disco ‘Oro blu’ per evocare l’importanza dell’acqua, che ci dà la vita, che al tempo stesso però è stata quotata in borsa, come se fosse il petrolio. Il rischio che il necessario abbia un prezzo è all’ordine del giorno. Quello che davvero conta nell’esistenza di un essere umano si riconosce quando si sta male, quando manca l’aria. Ma bisogna affrontare tanti stati d’animo per capirlo”.
Insieme a Shune e Dibla, scultori del suo suono, ha voluto portare con sé Rkomi, Izi, Massimo Pericolo, gli Psicologi, Tony Effe, Francesca Michielin e Greg Willen, dando vita a un viaggio dalle tante sfaccettature. Bresh non ha ascoltato il canto delle sirene, piegandosi a cliché del genere, ma ha preferito navigare su uno stile personale che unisce il rap al cantautorato. Bresh, insieme a Tedua, Izi, Vaz Tè’, Disme, Guesan, Ill Rave, Nader e altri, tutti rapper liguri, è l’inaspettato anello di congiunzione fra la nuova scuola di scrittura e la vecchia scuola cantautorale genovese. “Andrea” è una delle tracce simbolo del progetto ed è anche il titolo di una delle canzoni di quello che per lui è un “padre”: Fabrizio De André. Bresh, nel pezzo, parla dei Polifemo che ha incontrato, dei paraocchi che ha visto indossare e che ha indossato anche lui. “‘Andrea’ è il manifesto della mia musica e di quello che la vita mi ha insegnato fino a oggi – ricorda – a volte ho avuto i paraocchi, ma questi mi hanno permesso di non lasciarmi influenzare da chi non credeva in me e di mantenere la mia personalità, restando coerente con me stesso. Quando è uscito il singolo non sono stato bene. Perché è come se mi fossi mostrato senza armatura. Non potevo non farlo uscire, ma allo stesso tempo mi ha fatto paura”.
Paura di guardarsi dentro e poi di donare quelle riflessioni all’esterno, ma anche confronto con Scilla e Cariddi, mostri marini della mitologia, che in pezzi come “Parli di me” e “Come stai” costringono a una navigazione turbolenta fra i meandri dell’amore e dei sentimenti. “Io cerco sempre di agire in ‘orizzontale’ – ammette – la sola idea di abbandonare i miei amici, quelli di sempre, mi manda in paranoia. E fra un amico che non ce l’ha fatta e uno che qualche cosa nella vita ha combinato, cercherò di avere sempre una parola in più per il primo”.
C’è anche la follia, la magia di Circe, che in “Oro Blu” è evocata dai suoni inaspettati di Greg Willen in “Amore”. “Richiama la dance anni ’90. Greg Willen è uno scienziato pazzo della musica. Nella ricerca dell’essenzialità e delle origini, per me trova spazio anche l’elettronica che è una parte fondamentale della storia della musica italiana”, sorride Bresh. Il suo primo album “Che io mi aiuti” (che a breve dovrebbe essere certificato disco d’oro), seguito dalla repack e dai singoli di successo “Angelina Jolie” e “Caffè” (contenuti in questo secondo album), oltre che dall’inno per il suo amato Genoa “Guasto d’amore”, sono stati i semi che ha piantato il rapper durante il suo viaggio.
Ma in quella metafora del teschio, senza pelle, spoglio, che si deposita sul fondo del mare, immagine con cui è stato presentato il singolo “Andrea”, che cosa si può intravvedere? “Lo spogliarsi di tutto – conclude Bresh – in un brano come ‘Svuotatasche’ c’è l’essenza di questo ragionamento. Racconto di casa mia, della mia famiglia. Non c’è bisogno di spiegare nulla. È tutto lì”. È lo sguardo, lo stesso della cover dell’album, di chi, nella pace e nel silenzio di un ritorno a ciò che conta, ha trovato tutto.